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Questa storia, questi…pellegrinaggi sono durati quasi tutto il giorno. Non sono riuscito a capire nulla di ciò che mi hanno detto, tranne la parola “figlio” ripetuta da tutti,alcune volte più di una volta. Inizio a credere che mi venerino, ma non capisco il perchè. E non mi importa. E’ solo estremamente seccante.

Riesco a prendermi più tempo solo verso sera. Lavoro alacremente sfregando i legacci più velocemente. La tenue luce notturna mi rende più facile non farmi vedere.

Lavoro tutta la notte. Il legaccio è spesso, duro, difficile da rompere, ma quando una macchia di luce inizia a farsi sempre più intensa, quando l’alba è arrivata e mi illumina il lato destro del corpo scaldandomi, sento lo schiocco del cuoio che si rompe. Ho le mani libere.

Mi fiondo a liberare le gambe cercando di sciogliere i nodi, ma i muscoli indolenziti e la notte all’addiaccio mi rendono rigido, lento.

Sono raccolto su me stesso, in posizione fetale, intento a far forza sui legacci ai piedi, quando un paio di braccia mi spingono contro la pietra. Il colpo improvviso mi fa scattare il collo all’indietro. La nuca sbatte di violenza con la pietra dietro di me, lasciandomi stordito per un paio di minuti.

Due uomini mi si affiancano, uno ad ogni lato, e mi sollevano per le braccia. Vengo trascinato di forza al centro del villaggio. Quando la vista smette di sfarfallare, mi accorgo che tutto il villaggio mi osserva. Sussurrano. Qualcuno piange, altri si inchinano. Una litania bisbigliata mi accompagna. Mi chiamano “figlio”.

I due energumeni mi lasciano andare. Colto di sprovvista, cado sulle ginocchia. Mi fanno cenno di alzarmi. Non hanno intenzioni di andarsene. Capisco che mi rimarranno dietro le spalle, pronti a bloccarmi, ad impedirmi di tornare indietro.